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CHIETI - Qualche anno fa, Tommaso Coletti, candidato alla presidenza della provincia di Chieti, scelse lo slogan “Il lavoro rende liberi”. Una frase che, purtroppo, richiamava un tragico significato storico, essendo la scritta che accoglieva i prigionieri di un famoso campo di concentramento. Ne scaturì una furiosa polemica, nonostante l’intento di Coletti fosse evidentemente privo di cattive intenzioni.

Oggi, l’avvocatessa Serena Pompilio ha suscitato un’altra discussione pubblica con la sua pubblicazione del motto “Le mie parole vengono dopo i fatti”, attribuendolo direttamente a Benito Mussolini. Un atto che, per molti, ha sollevato interrogativi sul motivo per cui una figura storica legata al fascismo venga citata senza apparente consapevolezza del peso di tale citazione.

Un avvocato, per sua natura, è una persona esperta di diritto, che dovrebbe avere piena coscienza della legalità e delle implicazioni che comportano certe scelte. Pompilio, quindi, avrebbe dovuto riflettere se l’adozione di un motto di Mussolini potesse essere interpretata come un atto di apologia del fascismo, una riflessione che potrebbe sembrare eccessiva in un paese come il nostro, ma che, alla luce dei fatti storici, non è priva di fondamento.

Se qualcuno dovesse chiedere quali fatti siano seguiti alle parole di Mussolini, una risposta adeguata da parte di chi si riconosce nei valori della democrazia potrebbe essere: l’assassinio di Giacomo Matteotti, la soppressione dei partiti, la dittatura, la violenza contro gli oppositori, le leggi razziali, l’alleanza con i nazisti e la corresponsabilità nell’Olocausto, la guerra e il disonore internazionale.

È evidente che l’avvocatessa Pompilio abbia ritenuto di poter distorcere il significato del motto fascista, utilizzandolo in un contesto che potrebbe apparire più neutro, simile al nostro detto "fatti, non parole". Tuttavia, come dimostra l’esempio di Coletti, l’uso di certe frasi, anche senza intenzioni maliziose, può facilmente innescare polemiche legate alla memoria storica.

Per evitare fraintendimenti o accostamenti pericolosi, e considerando che la cultura fascista è ancora oggi un tema molto sensibile, suggeriamo all’avvocatessa che, riguardo a certi autori, “il silenzio è d’oro”.

Così si esprimono Luciano Monaco, segretario cittadino di Chieti, e Michele Marino, segretario provinciale di Sinistra Italiana, in una nota.
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